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venerdì, 20 febbraio 2015
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Nadia Spallitta

Tano Siracusa

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Tano Siracusa – fotografo

Queste foto le ho scattate una decina di anni fa, in occasione di una manifestazione di disoccupati. Mi ricordo che quando sviluppai e stampai i negativi ebbi la sensazione di un’occasione in parte sprecata.

In quel periodo venivo settimanalmente a Palermo, mi ero messo in testa di fotografare le automobili, il traffico automobilistico, la saturazione degli spazi della città, delle sue strade, delle sue piazze, dei suoi marciapiedi, ad opera delle macchine con quattro e due ruote.
In realtà avevo già fatto questo lavoro nella mia città, ad Agrigento. Ne era venuta fuori una mostra, presentata da Gaetano Gucciardo, poi pubblicata su un paio di riviste.
Per qualche mese, durante le riprese, la presenza delle automobili era diventata per me un’evidenza ossessiva, quasi allucinatoria.
In mezzo alle automobili posteggiate avevo fotografato innamoratiche si baciavano, uomini che leggevano in piedi il giornale, oppure seduti su uno sgabello che mangiavano un panino.
A poco a poco mi ero reso conto che le automobili non riempivano semplicemente uno spazio urbano organizzato in funzione dei bipedi umani, ma lo sagomavano secondo il loro arbitrio o una loro imperscrutabile logica, alla quale gli uomini si erano adattati. Un po’ come i gatti, il cui rapporto con le automobili costituiva una delle sezioni più istruttive e riuscite della sequenza. La mostra l’avevo infatti intitolata ‘Agrigento: automobili e viventi’.
Palermo mi sembrava perfetta.
Scenario formidabile per rappresentare la fantasmagoria di uno spazio urbano dove il rovesciamento del rapporto fra uomini ed automobili nel controllo e nel dominio del territorio si è pienamente realizzato. Fino ad indurre, ma questa è solo una mia ipotesi, una speciale mutazione nei palermitani, per i quali spostarsi in macchina nella loro città è naturale come bere l’acqua, come respirare, anche se è evidente che sarebbe più economico e più rapido postarsi a piedi o con gli autobus o su un asino. E che a Palermo, in molte zone, si respira male per colpa del traffico.
Venivo perciò a Palermo a prendere le misure, i primi appunti, sicuro che avrei trovato presso il Comune un ampio interesse per il mio progetto.
Venni ricevuto da Emilio Arcuri (ciao Emilio), che conosco dai tempi del PDUP. Emilio era assessore, ed erano più o meno i tempi in cui Berengo Gardin riceveva dal Comune di Palermo 90 milioni per il suo lavoro sui Rom.
Arcuri fu gentilissimo, anche se non mi sembrò particolarmente entusiasta della mia idea. Mi propose di organizzare a Palermo la mostra ‘Agrigento: automobili e viventi’.
No, gli dissi, la mia idea è di fare un lavoro qui a Palermo. Gli spiegai che sarebbe stato utile porre la questione del traffico anche sul piano dello spiazzamento visivo. La fotografia può infatti mostrare come nessun altro mezzo la follia della normalità, l’evidenza dell’assurdo nell’ovvio automatismo delle nostre abitudini.
E poi, ricordo o immagino di avergli detto, che se non la finiamo, e presto, di andare in automobile, cinesi e indiani compresi, rischiamo di finire tutti arrostiti in un prossimo luglio.
E poi che a Londra prendere l’automobile comincia ad essere considerato sconveniente, un po’ da cafoni.
E poi che basta fare una passeggiata nel centro storico di Palermo, chiudere gli occhi e immaginare le sue piazze senza macchine, le sue strade senza macchine. Vaste aree del centro storico senza più neppure una macchina: come in Argentina, In Slovacchia, in Germania, in Svizzera, in Francia, in mezza Europa, perfino in qualche città italiana.
Come nelle fotografie della Palermo di cento anni fa. E poi che tutte le volte che venivo a Palermo c’era quel fiume di macchine che scorre sui suoi viali, che invade i marciepiedi, e che mi sembrava un sogno, un brutto sogno dei palermitani, e avrei voluto che anche loro li chiudessero gli occhi per una frazione di secondo, quella di un clic, e che vedessero anche loro in un lampo l’assurdo e la follia, quell’incubo quotidiano, e subito dopo il suo svanire, la città liberata dalle macchine. Un sogno possibile perchè necessario nella realtà e necessario perchè possibile come un bel sogno.
E poi che nessuno dei fotografi siciliani si è mai cimentato su un tema così decisivo per la rappresentazione del trauma che la modernità ha prodotto sul nostro territorio. Che ancora alla fine degli anni ’50 la Sicilia era quella rappresentata nelle immagini di Scianna e Sellerio oppure negli splendidi documentari di De Seta, mentre con la Sicilia della modernità i fotografi non hanno ancora fatto i conti.
Insomma Emilio Arcuri mi consigliò di scrivere un progetto, che io scrissi e inviai al Comune di Palermo e del quale non ho più saputo nulla.
Quella mattina della manifestazione a Piazza della Vergogna avevo deciso che non sarei più tornato a Palermo per fotografare le automobili. Quel progetto non interessava nessuno. Forse per questo alle quattro fotografie di quella manifestazione associo la sensazione di un’occasione mancata. L’occasione mancata doveva essere quella del reportage sul traffico palermitano che non hopiù fatto. Quel giorno a Piazza della Vergogna, fra i disoccupati che protestavano, che si erano rotti, c’era anche il fotografo professionista che non sono mai stato, che ho potuto permettermi il lusso di non essere mai. Perchè quelle quattro foto, a vederle oggi, non mi sembrano poi male.
 
 
 
 
 
Tano Siracusa  nasce ad Agrigento dove vive e dove ha cominciato a fotografare nei primi anni ’80. Dal 1992 al 1995 è stato vicedirettore del trimestrale Suddovest. Dal 1999 al 2004 ha diretto il periodico Fuorivista. Su entrambe le riviste ha curato ampi spazi destinati al racconto fotografico. Attualmente collabora alla rivista trimestrale Gente di fotografia e svolge una intensa attività espositiva in Italia e all’estero.

 

 
 



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